Il Pettirosso, giornale satirico, è molto importante per svariati motivi. Vediamo di andare ad individuarli in una piccola narrazione che ci porterà a contestualizzarlo.
Anzitutto è uno dei primi giornali satirici liberi ad uscire in Italia. Roma era infatti stata occupata dalle truppe naziste dopo l’armistizio dell’otto settembre del 1943 e venne liberata dalle truppe alleate il 4 giugno 1944. La data non è a caso in quanto precede di un paio di giorni lo sbarco in Normandia ed era stata pianificato che la 5° armata del generale Clark, che era a conoscenza dello sbarco, entrasse a Roma in modo non tanto strategico quanto simbolico e politico nella città con un piccolo anticipo.
Pettirosso, anzi, la testata completa è Avanti Pettirosso, compare nell’agosto del 1944, ovvero un paio di mesi dopo, in una Roma ormai liberata, quella Roma città aperta che l’Italia aveva già designato come simbolo da tempo, nonostante l’occupazione tedesca che comportava anche la presenza degli alti comandi all’interno della città stessa. Non sono un amante delle date, in particolare nella narrazione che riguarda la storia della satira, ma in alcuni casi sono assolutamente indispensabili per disporre una cronologia che scorre accanto a quella definita dalla storia, ed è questo un caso in cui risultano fondamentali.
Pettirosso fu importante perché diede la stura, insieme ad altri, a quella serie infinita di testate che caratterizzarono il periodo del dopoguerra, ovvero quello della satira libera e liberata. Contiamo oltre cinquanta riviste umoristiche di orientamento politico diverso in questo periodo, ma tutte tese a liberarsi della croce del Minculpop (Ministero della Cultura Popolare che designava i direttori responsabili, sceglieva i collaboratori graditi ed esiliava al confino i non allineati), che per un ventennio aveva impedito una libera circolazione delle idee. Successivamente ne citerò alcuni, ma vi assicuro che l’elenco è davvero lungo e tutti quanti, ciascuno a suo modo, rappresentano un momento importante.
Facciamo ora un piccolo passo indietro, per meglio comprendere la valenza di Pettirosso. Non dobbiamo dimenticare che, il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del fascismo aveva decretato la caduta di Mussolini, con la successiva deposizione da parte del re Vittorio Emanuele III che lo aveva privato della carica di Presidente del Consiglio, e il suo conseguente arresto con trasferimento sul Gran Sasso.
Da qui però, il 12 settembre del 1943, il Duce era stato liberato dai paracadutisti tedeschi in una spericolata operazione denominata “Operazione Quercia”. Con l’aiuto dei tedeschi, Mussolini il 23 settembre del 1943 mise in piedi La Repubblica di Salò (Repubblica Sociale Italiana), considerato dalla storiografia uno stato fantoccio in quanto nelle mani dei nazisti, in cui Mussolini assunse la carica di capo del governo e capo di stato. Il dominio si estendeva sino a mezza Italia, ovvero nelle regioni ancora sotto il controllo dei nazisti. Questa repubblica ebbe comunque, oltre a giornali generalisti di appoggio, anche un paio di riviste satiriche.
Si Tratta de L’uomo di Pietra e de Il Barbagianni. Entrambi avevano sede in Milano e portavano avanti un discorso spesso becero sulle questioni di razza e sui valori del fascismo con evidenza particolare a vignette contro il re traditore, colpevole di aver avvallato le decisioni del gran consiglio fascista. Nonostante questo, i collaboratori erano anche di buon livello. Mario Bazzi, già colonna del Bertoldo e delizioso artista surreale, collaborava a entrambi (venne arrestato per contiguità al fascismo ma dopo riprese a disegnare) così come Sandro Angiolini, grande disegnatore nato nel momento sbagliato, che successivamente si rifugiò in Spagna sotto il regime franchista, sino a tornare poi in Italia negli anni Settanta per dedicarsi alla realizzazione di fumetti erotici e pornografici. Ovviamente pagò questa sua adesione alla Repubblica Sociale ma seppe rifarsi artisticamente una vita. Deliziose, a questo proposito, sono le sue vignette pubblicate in Italia con lo pseudonimo di Sangio.
A L’Uomo di Pietra il collaboratore principale è Andreoni, sicuramente non firma da annoverare nell’olimpo della satira, mentre sono da segnalare alcune vignette di Primo Sinopico, pseudonimo del cagliaritano Raul de Chareun, grande illustratore e cartellonista pubblicitario durante il ventennio. Su Il Barbagianni si segnalano le collaborazioni di Elefante, Ciso, Giovanni Manca (storico autore satirico già direttore de Il Pasquino negli anni 1919/20 denominati biennio rosso), Schipani e Gianni De Luca, splendido fumettista che anni dopo sarà una delle colonne de Il Giornalino con il suo personaggio Il Commissario Spada e che realizzerà alcuni adattamenti a fumetti straordinari come Giulietta e Romeo, L’Amleto e La Tempesta di Shakespeare, tavole in cui saprà rompere meglio di chiunque altro il riquadro classico, dando idea del movimento come pochi altri sono riusciti a fare.
Tutto questo per dire che sono comunque giornali ben fatti con giovanissimi collaboratori di talento, portati avanti con professionalità, a prescindere dall’ideologia che esprimono.
Sul fronte opposto, ovvero nell’Italia liberata, già dal marzo 1944 esce a Salerno il Don Chisciotte, autorizzato dal Governo militare alleato. I collaboratori, pur bravi ed efficaci, non entrano successivamente nel novero dei collaboratori fissi a giornali umoristici e satirici.
In questa Italia divisa continuava ancora ad uscire lo storico Il Travaso delle Idee, fondato nel 1900 da Trilussa (Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri), Carlo Montani, Filiberto Scarpelli e altri. Il giornale, dopo la defenestrazione del direttore Guglielmo Guasta (Guastaveglia) alla vigilia dell’emanazione fascista delle leggi sulla stampa nel 1925, procede con la pubblicazione durante tutto il ventennio. Non schiacciato ma allineato sulla linea del regime, si era mosso con cautela facendo collaborare anche autori come Leporini, Bonpard, Onorato e Toddi (pseudonimo di Pietro Rivetta) che ne fu a lungo direttore.
Dal 7 gennaio 1944 ne divenne direttore Livio Apolloni, straordinario illustratore e disegnatore che purtroppo si macchiò di qualche vignetta razzista. Anche la sede de Il Travaso delle idee era in Roma. In ultimo, e tra poco arriveremo a parlare di Avanti Pettirosso, vanno sicuramente segnalati ancora Pasquino, trasformatosi in Marforio. Pasquino, già storico giornale piemontese uscito a Torino dal 1856 e palestra semi personale del grande Casimiro Teja, viene rilevato ed esce con il primo numero il 25 dicembre 1943 con la direzione di Vittorio Metz, che chiama subito a collaborare grandi firme storiche come Achille Campanile, il poeta Trilussa, l’attore Aldo Fabrizi ed eccellenti disegnatori come Raul Verdini, Barbara (Mameli Barbara), Attalo e Migneco. Nel settembre del 1944 la testata muterà in Marforio mantenendo invariata la grafica e i collaboratori che nel frattempo erano cresciuti di numero.
Tutto questo lungo cappello è scritto per cercare, almeno in parte, di contestualizzare la nascita di Avanti Pettirosso. La sua principale peculiarità è quella di poter subito pubblicare vignette contro Mussolini, cosa non da poco, dopo il lunghissimo periodo di censura. Nei primi numeri articoli e vignette sono opportunamente non firmati o al massimo con pseudonimi di fantasia (non si sa mai), e la linea è immediatamente più politica con vignette anche contro il re e soprattutto contro l’odiato Hitler. La firma del direttore responsabile è quella di Primo Parrini, che poi diventerà uno dei più grandi distributori italiani di giornali. Un occhio avvezzo coglie comunque tra i collaboratori, anche se senza firma, la mano del grande Attalo (Gioachino Colizzi), che sin dagli anni Trenta spopolava sulle pagine di Marc’Aurelio con la sua saga a vignette “Il Gagà che aveva detto agli amici”. Ora, dovete riuscire ad immaginare il godere che devono aver provato questi valenti collaboratori nel potersi esprime sbertucciando a piacere coloro che li avevano vessati per tanti anni, senza il rischio di dover finire in galera o al confino, senza stipendio per poter mantenere le famiglie. A dire il vero il primato della prima rivista antifascista spetta al giornale Cantachiaro, antigiornale satirico politico, comparso nella Roma liberata il 10 giugno 1944, davvero pochi giorni dopo la liberazione, che ha come direttore responsabile Raffaello Ferruzzi e come redattore responsabile Franco Monicelli, giornalista che successivamente scriverà la sceneggiatura del capolavoro Riso Amaro, film diretto da Giuseppe De Santis. Piccolo inciso, Franco è anche il fratello di Mario Monicelli, grande regista e padre della commedia all’italiana. Nella prima pagina del primo numero di Cantachiaro campeggia grande una vignetta che vede ritratto Mussolini con un piccolo Colosseo caduto in terra e in frantumi. Il titolo è “O Roma o morte” e la battuta pronunciata dal Duce, con rimando alla sua origine romagnola, è: “Boia d’un mond leder, come mi è saltato in testa di dire una simile fesseria?”. Molto bello il disegno a firma Furio, quasi certamente Furio Scarpelli, grande disegnatore, figlio di Filiberto Scarpelli, e successivamente famoso sceneggiatore in coppia con Age (Agenore Incrocci), con cui scriverà capolavori come I soliti ignoti e L’armata Brancaleone per la regia di Mario Monicelli.
Torniamo ora al nostro delizioso Avanti Pettirosso, dove Avanti è un chiaro rimando al giornale socialista, al punto che la seconda firma del giornale è Ezio Villani, redattore responsabile de L’Avanti. Nel numero due troviamo un Mussolini intento a passeggiare in una stanza mentre guarda la foto di Napoleone Bonaparte e tiene il braccio all’interno della camicia da notte, a rimando del gesto tipico dell’imperatore francese. Il titolo è Ultima Speranza, mentre la battuta pronunciata è: “Magari potessi finire anch’io su un’isoletta!” a testimonianza della fine di un potere, preannunciando la fine tragica che lo aspetta l’anno successivo. Il disegno non è firmato.
Le vignette, tutte divertenti o amare, proseguono nei numeri successivi con bordate anche contro il re e Hitler. Ancora una molto divertente vede Mussolini davanti allo specchio in cui è riflesso uno scheletro dire: “E’ proprio vero… sto dimagrendo”. Con il trascorrere dei numeri iniziano a comparire alcune firme come quella di Migneco (Angelo Migneco, fratello del più celebre pittore Giuseppe) che proveniva dalle pagine de Il Settebello, e si inizia a riconoscere il tratto di Raul Verdini, Attalo e Averardo Ciriello, tutti ancora senza firma anche se di Ciriello talvolta compare una timida A.C. che potrebbe esser confusa con Avanti Cristo. Di Ciriello, straordinario illustratore e pittore, tra gli infiniti materiali prodotti, non possiamo fare a meno di citare il manifesto realizzato per il film Casanova di Fellini, disegnato nel 1976. Ma è davvero una goccia nel mare della sua sterminata produzione.
Il Pettirosso doveva sicuramente partire con una tiratura ridotta per poi approdare ad una ristampa. Prova ne è il fatto che si trovano molto spesso doppioni del giornale, assolutamente uguali ma con il prezzo di vendita diverso che passa da due a tre lire. Ora, non è chiaro se l’aumento fosse precedente o successivo, ovvero se la prima edizione costasse due e la ristampa tre o viceversa. Ma questo non toglie o aggiunge nulla al fatto che vi era una ristampa dovuta al successo del giornale.
Dal numero 7 del 1945 del Pettirosso la testata compare in edicola singola senza più la scritta Avanti e cessa anche la doppia firma di Ezio Villani. Probabilmente si iniziava a preparare l’uscita ufficiale dello storico giornale socialista dopo anni di edizioni clandestine. Oppure a irritare l’animo socialista e comunista fu la pubblicazione sul giornale di documenti dell’OVRA (Organizzazione Vigilanza Repressione Antifascista), palesemente falsi, indirizzati però a Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Fatto è che dal numero sette del febbraio 1945 la testata compare sola senza sullo sfondo la scritta Avanti.
A segnalare la moltitudine di giornali che escono in quel momento, ricordiamo una vignetta della prima pagina che vede un lettore di spalle a un’edicola affollata di carta che, passando i soldi all’edicolante dice: “Mi dia un giornale”. Il titolo del disegno è Lettore Imparziale. Nella stessa prima pagina trova posto un disegno firmato A.C., il nostro amato Ciriello, dal titolo Mutande Nere, dove si vede un signore con un gran paio di mutandoni rivolgersi alla moglie dicendo “Credi si riconosca che era una camicia nera?”. Il disegno simboleggia i tanti fascisti intenti a rifarsi molto velocemente una verginità antifascista e cancellare ciò che oggi appare come una macchia infamante. Del resto non possiamo dimenticare che il Duce fu seguito spontaneamente e sinceramente da moltissimi italiani. Erano tutti fascisti, volenti o nolenti, ma la maggior parte certamente credeva nella sua figura di indiscusso fascino carismatico. Il giornale si scaglia continuamente contro le figure ormai appassite di Hitler e Mussolini e ancora nel marzo del 1945 compare in prima pagina un disegno senza firma titolato L’ultima Adunata che vede i due dittatori applaudirsi da soli. Segno dei tempi che cambiano e di una libertà che avanza veloce. Eppure non dobbiamo dimenticarci che i due sono ancora ben vivi. Come sappiamo, Mussolini sarà fucilato nella notte tra il 27 e il 28 aprile mentre il cadavere di Hitler sarà ritrovato il 30 aprile nel suo bunker di Berlino, dopo aver ingerito una capsula di cianuro ed essersi sparato un colpo in testa, ed aver fatto seguire la stessa sorte a sua moglie Eva Braun. I cadaveri vennero ritrovati dalle truppe dell’Unione Sovietica entrate nella città.
A proposito del matrimonio di Hitler, è molto ironica e cinica la vignetta di prima pagina del numero 13 dei primi di aprile, sempre di Ciriello, dal titolo Hitler Si Sposa dove si vede il Fürer con la moglie già vestita di nero dire ai suoi ufficiali: “Camerati, vi presento la mia vedova”. E ancora nel numero 16 non possono sfuggire una vignetta in prima pagina dedicata a Mussolini e alla sua fuga verso la Svizzera (poi intercettata dai partigiani che procederanno alla sua fucilazione), e nemmeno un disegno a pagina 3, piccola strip senza parole di umorismo surreale, non firmata ma assolutamente attribuibile a Federico Fellini che inizia così la sua collaborazione al giornale.
Fellini già negli anni Trenta aveva esordito con i suoi racconti e con i suoi disegni sul giornale Marc’Aurelio e nel frattempo aveva iniziato anche a lavorare con l’EIAR, ente radiofonico che più tardi diventerà Rai. Dal numero 15 compare anche la firma di Ruggero Maccari come condirettore che affianca quella di Primo Parrini. Maccari sarà poi sceneggiatore del film Il Sorpasso di Dino Risi e di Brutti sporchi e cattivi di Ettore Scola (altro meraviglioso disegnatore che esordirà su Marc’Aurelio anni dopo, prima di diventare quel meraviglioso regista che conosciamo), a testimonianza di quanto i giornali siano serviti da palestra per una generazione che poi sarà dedita al cinema.
Con i numeri di Maggio iniziano a comparire alcune firme, Migneco a parte che firma dai primi numeri. Si svela dunque Attalo e successivamente anche Verdini. Proseguono le gag surreali di Fellini che iniziano ad essere accompagnate da parole.
Di certo il giornale non era distribuito nei territori della Repubblica di Salò e prova ne è il fatto che esistono alcuni numeri di giugno del 1945 realizzati appositamente come “Edizione per l’alta Italia”. La numerazione è la stessa ma il disegno della testata diverso, così come la grafica e il giornale. Paragonando un paio di questi numeri all’edizione tradizionale si ha l’impressione che siano stati confezionati appositamente usando materiale tratto dai numeri precedenti.
Evidentemente stiamo parlando di giugno del 1945, ovvero dopo la morte di Mussolini avvenuta il 28 aprile 1945. Il 25 aprile è una data simbolo in quanto fu il giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione nazionale di tutte le forze partigiane assumendo il potere in nome del popolo italiano e quale delegato del governo. Bologna era stata liberata il 21 aprile, Genova il 23 aprile Torino il 27 aprile e Venezia il 28 aprile. Milano è invece liberata il 25 aprile, ed essendo base del comitato di liberazione, diviene successivamente il simbolo ancora oggi celebrato.
Il giornale Pettirosso nel frattempo cambia formato e diventa più simile al tabloid quotidiano, formato già conosciuto per l’uso fatto dai giornali in precedenza come Marc’Aurelio, Settebello e Bertoldo.
I temi trattati sono davvero vari e di attualità, dalla lotta agli accaparratori al dramma dei reduci, mentre proseguono i disegni contro chi ora prende le distanze complete dal fascismo. Sono vignette generiche che testimoniano un sentire popolare, un mal costume e non sono certo attacchi personali nei confronti di qualcuno.
Iniziano nuovamente i nomi scritti sotto i disegni, riprendendo la tradizione consolidata in uso da sempre. Vediamo così di Luigi Bompard, grande firma de Il Travaso delle idee accanto a quelle di Mancini e Del Sonno. La squadra del giornale è abbastanza ben formata. Nel numero 50 del 30 agosto del 1945 l’ottimo Ciriello troneggia in prima pagina con un disegno dal titolo Dopo le Elezioni Inglesi, che vede Vittorio Emanuele III dire al proprio medico: “Dottore, mi gira la corona” a seguito di ciò che sullo stesso giornale viene definito “il tramonto di Churchill” che, dopo aver guidato l’Inghilterra nell’ora buia, viene battuto dal laburista Clement Attlee, forse per allontanare non tanto l’uomo ma l’idea di chi aveva chiesto sacrifici. Nell’agosto del 1945 troviamo anche un pezzo in prima pagina a firma Simili, presumibilmente Massimo Simili, grande umorista catanese che poi avrà successo con i suoi romanzi e troverà spazio sulle pagine di Candido, diretto da Giovannino Guareschi. Simili, per la cronaca, fu colui che per primo rivisitò umoristicamente l’articolo primo della Costituzione italiana scrivendo “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro degli altri”. Non a caso il suo pezzo su Pettirosso è titolato Stampa Libera e dimostra grande apertura politica in funzione della satira e della linea editoriale del giornale. Verso fine anno prende a collaborare anche l’ottimo vignettista Hugo Giammusso, che poi troverà maturità sulle pagine di Cantachiaro e de Il Travaso delle Idee. Nel frattempo Fellini continua ad affinare il suo stile e riscontra favori del pubblico.
L’esperienza di questo bel giornale, molto libero e in totale favore della completa libertà di stampa si esaurirà con il numero 26 del 1946. I disegnatori passeranno ad altri giornali. Tra le molte testate che sorgono in questi anni vanno assolutamente citati Don Basilio, ferocemente anticlericale e antidemocristiano, e Il Galantuomo, diretto dal disegnatore Giaci Mondaini, in attesa che rientri dal campo di prigionia Giovannino Guareschi, che inizierà l’avventura di Candido con gli amici Mondaini e Giovanni Mosca.
Molte altre riviste andrebbero citate così come molti singoli disegni apparsi su Pettirosso andrebbero menzionati e raccontati, ma questo porterebbe altrove. Spero di aver dato l’idea del clima e l’importanza che ha questa testata, nata in un momento di libertà sia pur nella difficoltà, che attraversa la trasformazione dell’Italia e passa da uno stato di guerra, ampiamente improntato anche in guerra civile, alla nascita della Repubblica che segna definitivamente la fine della dittatura, il tutto visto attraverso la penna e la matita di alcuni giovani di strabiliante talento.