Il 6 novembre 1921 Gaetano Salvemini scrive ad Ernesto Rossi. Quest’ultimo è alla ricerca di interlocutori a cui rivolgersi per avere testimonianze attendibili sulla situazione scolastica pugliese. Salvemini fa tre nomi, gli unici, dice, «che ti potranno dare buoni consigli». Tra essi «il Laricchiuta, socialista fra i meno peggiori, desideroso di coltura, e non privo di buon senso ed onestà». Ciò che il molfettano suggerì a Rossi, non è assolutamente da sottovalutare. Come sa chi ha una qualche frequentazione con la sua opera e con la ruvidità e franchezza dei suoi giudizi, parole di quel tipo non le spendeva spesso. Tanto che, quando ciò accedeva, il consiglio fornito era molto preciso ed in grado di qualificare con buona esattezza, ad un tempo, sia la statura di chi indicava che l’orizzonte culturale entro il quale si era venuto delineando la sua posizione.
Il «socialista fra i meno peggiori» era dunque Eugenio Laricchiuta. Nato a Monopoli nel 1896, trovò in nord Italia, a Milano, dove era emigrato agli inizi del secolo, l’ancora di salvezza per sollevarsi dalla miseria e dall’analfabetismo. La trovò nel socialismo pragmatico e riformista lombardo (aderì al PSI nel 1915) ed in quella sua importante emanazione che era la Società Umanitaria, la scuola di educazione e formazione delle classi lavoratrici che uomini e donne di diversa estrazione sociale – politici, imprenditori, intellettuali, della società civile – e di diverso ma affine profilo ideologico – socialisti soprattutto, ma anche democratici, repubblicani, laici e massoni – avevano fatto rinascere nella città lombarda nel 1901. Lì, da autodidatta qual era, frequentò, tra il 1917 ed il 1919, i corsi di legislazione ed economia sociale, mostrando ingegno e capacità e divenendo così uno dei principali collaboratori del direttore di essa, Augusto Osimo. Per incarico di Osimo, tornò in Puglia, a Bari, nel 1919, al fine di fondare, con altri esponenti del socialismo pugliese, tra cui Giovanni Colella e Giuseppe Di Vagno, la sezione barese della Società Umanitaria, i cui campi di intervento più significativi furono l’assistenza ai disoccupati, il collocamento, l’istruzione professionale e la formazione degli operai, la tutela dei lavoratori e degli emigranti. Tutto ciò in un’ottica politico-ideologica prettamente riformista, molto distante da quella massimalista e rivoluzionaria allora dominante nella federazione socialista barese. Riformismo che lo guidò anche nell’incarico, che tenne tra il 1919 ed il 1920, di segretario della Federazione provinciale dei lavoratori della terra di Bari, organismo aderente alla Federazione nazionale dei lavoratori della terra (Federterra) della Confederazione Generale del Lavoro. In questa ultima veste, infatti, fu uno di coloro che, in quanto rappresentante dei lavoratori nella Giunta provinciale per il collocamento e la disoccupazione, maggiormente si spese per l’applicazione in Puglia del cosiddetto Decreto Visocchi del 2 settembre 1919, col quale «si autorizza(va) la concessione di terre incolte e mal coltivate (scil.:“di alcune zone di latifondo”) ad organizzazioni di contadini per un massimo di quattro anni, salvo proroga definitiva». E ciò, oltre che per migliorare la produttività delle terre e lenire la disoccupazione dei lavoratori, anche per arginare le tensioni dovute alla mancata emanazione di provvedimenti di riforma agraria, promessi dal Governo ai fanti/contadini dopo il disastro di Caporetto.
Nell’ottobre del 1922, in seguito all’espulsione dal PSI della corrente riformista di Turati e Matteotti, voluta dai massimalisti nel XIX congresso del partito, Laricchiuta partecipò alla costituzione del Partito Socialista Unitario, PSU. Di esso fu segretario della Federazione di Terra di Bari fino al 1925, cioè fino a quando non si giunse alla chiusura del cerchio repressivo del fascismo su qualsiasi opposizione legale, con il decreto di scioglimento di tutti i partiti politici, tranne naturalmente quello fascista. Ma in realtà, così come si evince dai carteggi di Tommaso Fiore e di Gaetano Salvemini, in quegli anni ed in particolare dopo il rapimento e delitto Matteotti (1924), Laricchiuta fu ben oltre che il responsabile politico del partito riformista nella provincia barese. Fu colui il quale che, girando instancabilmente per i paesi che la costituivano, mantenne i rapporti tra i vari gruppi di socialisti presenti sul territorio, nonché colui che allargò notevolmente le fila del partito, riuscendo a far avvicinare al PSU personalità molto note e prestigiose, almeno a livello locale, tra le quali il succitato Tommaso Fiore. Ma non basta. Si fece promotore, in un ottica unitaria, di una linea politica tesa a favorire un nuovo incontro tra le varie anime del socialismo pugliese, linea che si sostanziò nel tentativo, per le elezioni politiche della primavera del 1924, di lanciare la candidatura unitaria socialista per il collegio Bari-Foggia di Gaetano Salvemini, fuoriuscito dal partito ormai da molti anni. Progetto, questo, che però ricevette una tiepida accoglienza da parte degli altri socialisti e che naufragò, tanto da spingere Salvemini, che inizialmente si era mostrato possibilista, ad un rifiuto gentile ma fermo. In questi anni, inoltre, Laricchiuta fu anche il direttore del (settimanale?) Puglia Socialista ed animatore del Comitato di opposizione al fascismo nella regione. Attività, quest’ultima, che alla fine del 1926 gli procurò, da parte della Commissione provinciale delle misure di polizia una ammonizione di due anni, pena poi sospesa.
Pur se costantemente sorvegliato dalla polizia politica del regime, il Laricchiuta dopo quella data sembrò abbandonare qualsiasi iniziativa politica, concentrandosi su una attività professionale di assicuratore, alle dipendenze dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), nella quale mostrò spiccate capacità. Ma che il fuoco antifascista continuasse ad ardere all’interno della sua coscienza, lo dimostra la decisione che con notevole coerenza prese nel 1932 quando il requisito del tesseramento al Partito Nazionale Fascista divenne stringente per coloro che dipendevano da enti statali, qual era l’INA. Rifiutando l’iscrizione, si fece licenziare dall’Istituto e, pur se accettando qualifiche professionali minori rispetto a quelle conquistate nella precedente carriera, ricominciò ad operare professionalmente in compagnie assicurative private. La passione per l’azione politica e sindacale, però, tornò ad urgere quando, con la caduta del regime fascista, riemersero spazi per un operare associativo dal basso in direzione democratica e riformista. La sua attività, a quel punto, si fece convulsa. Abbandonata quasi totalmente la carriera professionale, si dedicò dapprima alla ricostruzione del mondo sindacale italiano, diventando membro del Consiglio direttivo della rinata Confederazione Generale Italiana del Lavoro. In tale organismo, fu un autorevole rappresentante di una linea di unità sindacale su posizioni autonomiste, da lui espressa nel Congresso Sindacale dell’Italia liberata di Bari del 29 gennaio 1944. Poi, ma in una certa misura contemporaneamente, operò per la rinascita organizzativa del movimento socialista in Puglia e nel Paese, assumendo le cariche di segretario della Federazione provinciale socialista di Bari (novembre 1943 / settembre 1945) e di membro della Direzione nazionale del Partito (1943 – 1946). Tutto ciò, senza dimenticare il ruolo che rivestì nel movimento di liberazione nazionale. In questa ultima veste, oltre che la voce socialista di Radio Bari, fu, come risulta dalla prefazione del volume che raccoglie gli Atti dell’assise, uno di coloro che, con Michele Cifarelli, si spese per rendere possibile il primo Congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale (Bari, 28/29 gennaio 1944), nel quale fu delegato socialista. Come se tutto questo non bastasse, fu anche direttore della rinata edizione meridionale (barese) dell’Avanti!, dicembre 1943, e membro, designato in quota sindacale, della Consulta Nazionale, tra il settembre 1945 ed il giugno 1946.
Fu di questi anni l’incontro, e l’amicizia, tra il Laricchiuta ed un giovanissimo Rino Formica, poi più volte ministro e dirigente nazionale di partito, che si avvicinava allora al mondo socialista italiano e che nel Nostro trovò forse il suo più importante maestro politico, come lo stesso Formica ha dichiarato in una intervista del 2017. Inoltre, si fa risalire a questo periodo un episodio piuttosto controverso, il cui racconto è riemerso più volte negli anni successivi, ed in particolare in occasione della tragica scomparsa del secondo dei due attori di esso. Secondo quanto è stato detto, un allora giovane professore incaricato della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari, Aldo Moro, pur se già attivo negli organi associativi cattolico-sociali, avrebbe presentato al Laricchiuta la richiesta di iscrizione al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, come allora si chiamava il rinato Partito Socialista, ricevendone però un rifiuto. Tale narrazione è stata, negli anni, sempre smentita, tanto da dover essere intesa come una voce costruita ad arte per essere utilizzata nella lotta politica interna a quel partito, la Democrazia Cristiana, di cui Moro fu poi uno dei più autorevoli leader.
La successiva storia politica di Laricchiuta fu quella di un riformista che, in seguito alla decisione del PSI di costituire, con il Partito Comunista Italiano, quello che si chiamerà Fronte Democratico Popolare, nell’ambito di un patto di unità d’azione tra i due partiti, aderì alla cosiddetta scissione di Palazzo Barberini (gennaio 1947). Seguendo così Giuseppe Saragat nella costituzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi dal 1952 Partito Social Democratico Italiano (PSDI), ma comunque continuando ad operare politicamente su una linea si autonomista eppure di riunificazione dei due spezzoni del movimento socialista italiano. Non fu dunque un caso se nel 1966 partecipò con grande entusiasmo, e con un ruolo di “leader anziano”, alla riunificazione tra i due partiti (PSI e PSDI), riunificazione che però, come è noto, naufragò poco più due anni. A quel punto, nel 1969, Laricchiuta scelse di aderire al ricostituito PSI, pur se non con grande convinzione e di fatto, anche a causa di un età ormai avanzata, tenendosi ai margini della lotta politica. Con ben maggiore spinta, invece, negli ultimi anni della sua vita si dedicò ad un impegno civile in direzione della tutela e dell’educazione e formazione delle classi popolari. Attività questa che, per altro, non aveva abbandonato ed aveva affiancato quella sua più specificatamente politica sia negli anni Cinquanta che negli anni Sessanta, ma che negli anni Settanta si concretizzò in quello che fu il principale orgoglio della sua vecchiaia: la realizzazione della Colonia permanente “Giuseppe Di Vagno” a Monopoli, luogo di assistenza, formazione e svago per i ragazzi del popolo e coronamento di un operare politico che aveva preso le mosse dalla esperienza, in fondo non radicalmente diversa, della Società Umanitaria. Eugenio Laricchiuta morì a Bari il 18 agosto 1981.
Docente di storia e filosofia. Comitato scientifico Fondazione Giuseppe Di Vagno.
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